Nuove scoperte nella lotta contro l’Egpa, una malattia rara e complessa, stanno cambiando le possibilità terapeutiche per coloro che ne sono affetti. Questa condizione, conosciuta anche come granulomatosi eosinofilica con poliangite o sindrome di Churg-Strauss, ha preso il nome dai due scienziati che la scoprirono nel lontano 1951. Colpendo i vasi sanguigni in diverse parti del corpo, l’Egpa può portare a gravi complicazioni per il polmone, i reni, il cuore, la pelle e anche il sistema nervoso. Recentemente, durante un incontro a Milano organizzato da Gsk, si è discusso di come l’introduzione di nuove terapie stia cambiando l’approccio a questo difficile scenario clinico.
L’Egpa si sviluppa attraverso tre fasi distinte, simili a quelle di una rappresentazione teatrale, dove gli attori principali sono gli eosinofili, un tipo di globuli bianchi. Questi ‘attori’ si scatenano sul palcoscenico dell’organismo, portando a sintomi che spaziano da febbre e fatica a dolori articolari e perdita di peso. Il primo atto, noto come fase prodromica, si manifesta con infiammazioni alle vie respiratorie, spesso accompagnate da asma e rinite allergica, a volte aggiungendo elementi come poliposi nasale. Questi sintomi iniziali, purtroppo, possono trarre in inganno e ritardare la diagnosi. La fase successiva, ossia quella eosinofila, porta ad un aumento allarmante della conta degli eosinofili, superando valori di riferimento fino a 1.500 cellule per microlitro di sangue. In questo stadio, si possono verificare manifestazioni gravi come la febbre, forti dolori muscolari e articolari e disfunzioni degli organi colpiti. E infine, la terza fase – chiamata fase vasculitica – introduce un contesto sistemico che complica ulteriormente il quadro clinico.
Quando si parla di Egpa, non si può non menzionare l’impatto devastante che questa malattia ha non solo sul corpo, ma anche sulla mente. Le conseguenze fisiche sono spesso accompagnate da una profonda sensazione di smarrimento, complicata dalla lentezza nel diagnosticare la patologia. I pazienti possono trovarsi a vagare da un medico all’altro, con attese che si protraggono dai sette ai dieci anni prima di arrivare a una diagnosi chiara. Ecco perché è fondamentale un’accurata valutazione da parte di specialisti, che possono includere immunologi e reumatologi, i quali sono in grado di analizzare sintomi e condurre esami di laboratorio mirati. Questi esami possono aiutare a identificare l’‘esplosione eosinofila’, grazie a test come il conteggio globulare, analisi della formula leucocitaria e dosaggio della proteina cationica eosinofila, nota come Ecp. Inclusi nella valutazione ci sono anche i marcatori infiammatori come la Ves, per avere un quadro complessivo della situazione.
La buona notizia è che una volta effettuata la diagnosi, le possibilità di trattamento stanno migliorando notevolmente. Fino a poco tempo fa, le opzioni terapeutiche si limitavano principalmente a corticosteroidi e immunosoppressori, che sebbene possano fornire un sollievo temporaneo, presentano numerosi limiti e rischi, come il potenziamento delle infezioni e effetti collaterali pesanti. Qui entra in scena mepolizumab, un anticorpo monoclonale progettato per agire direttamente sulle cause biologiche che alimentano l’Egpa. Nei risultati dello studio registrativo Mirra, pubblicato nel 2017 su ‘Nejm’, è emerso che, dopo 24 settimane di trattamento, più della metà dei pazienti riscontrava una remissione della malattia. Ma non finisce qui: l’uso di mepolizumab ha anche ridotto significativamente la necessità di corticosteroidi orali per il controllo della malattia. Questo ha portato a miglioramenti sostanziali nella qualità della vita dei pazienti. Non dimentichiamo lo studio Mars, che ha confermato l’efficacia e la sicurezza a lungo termine del farmaco, mostrando una riduzione persistente nel fabbisogno di corticosteroidi anche dopo quattro anni di trattamento. Questi sviluppi sono un segno tangibile di come la scienza stia avanzando nella lotta contro malattie rare come l’Egpa, offrendo nuove speranze a chi ne soffre.
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