L’indagine sull’HIV: informazioni scarse, test limitati e stigma diffuso – Scopri di più!

Il libro bianco “Le parole per tornare a parlarne” evidenzia la scarsa informazione sull’Hiv in Italia, con false credenze e stigmi che ostacolano la prevenzione e il supporto alla comunità.

Il libro bianco intitolato “Le parole per tornare a parlarne” rivela, con estrema angoscia, la realtà dell’informazione legata all’Hiv in Italia. Malgrado le statistiche ci dicano che il 57,3% degli italiani si sente informato su questo argomento, c’è una drammatica lacuna di conoscenza. Solo il 10,6% della popolazione afferma di possedere una conoscenza “molto” approfondita del virus, evidenziando una situazione preoccupante. Inoltre, le false credenze riguardanti la trasmissione dell’Hiv portano a una notevole confusione e disinformazione, con il 63% degli individui che si sottovaluta minimizzando il rischio.

Le confusioni sulla trasmissione dell’Hiv

Un aspetto sorprendente emerso da questa analisi è la scarsa consapevolezza sulle modalità di trasmissione del virus. Infatti, si stima che una buona parte della popolazione, precisamente il 14,5%, creda che sia sufficiente baciarsi per contrarre l’Hiv. Altri pensano che utilizzare i bagni in comune o essere punti da una zanzara possa rappresentare un rischio. A questo punto, è impossibile non notare quanto possa essere allarmante il fatto che esista un’importante discrepanza tra la percezione del rischio e la realtà. Solo il 29,3% di chi afferma di conoscere il virus ha mai fatto un test. Questo dimostra una mancanza di consapevolezza anche riguardo alle strategie di prevenzione disponibili.

Un altro dato preoccupante è che solo il 6,7% conosce la profilassi pre-esposizione , una risorsa fondamentale nella lotta all’Hiv. È evidente che l’informazione ha bisogno di una revitalizzazione, poiché senza un’adeguata cultura della prevenzione sarà impossibile combattere efficacemente l’epidemia. Un’indagine effettuata da AstraRicerche per Gilead Sciences ha coinvolto oltre 1.500 persone di età compresa tra 18 e 70 anni, dimostrando la fragilità del sapere collettivo su un tema così vitale.

Un approccio rinnovato e orientato alla comunità

Il libro bianco presentato ha l’obiettivo di ridare centralità al discorso sull’Hiv, cogliendo l’occasione di un evento a Roma per lanciare una campagna di sensibilizzazione, “Hiv. Ne parliamo?”, promossa da Gilead Sciences in collaborazione con 17 associazioni di pazienti e esperti di malattie infettive. Il documento è sorretto da quattro parole chiave: prevenzione, stigma, checkpoint e qualità della vita. Questi concetti devono tornare al centro del dibattito pubblico affinché si possano proporre reali azioni di contrasto all’epidemia.

La campagna fa emergere un altro aspetto cruciale: oltre alle nuove diagnosi che, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, superano le 2000 all’anno, c’è un’urgenza di ridurre quelle tardive in modo che non si arrivi a cure in condizioni già compromesse. Inoltre, ci sono oltre 10 mila persone che potrebbero avere il virus e non esserne a conoscenza. Queste cifre evidenziano quanto siano necessarie azioni concrete per incentivare l’uso di strumenti preventivi, come il test dell’Hiv e la diffusione della prevenzione farmaceutica, e la crescente necessità di check point, i punti di accesso specializzati che offrono supporto e informazioni.

Il ruolo fondamentale dei check point nella comunità

I checkpoint sono strutture aperte e inclusive, pensate per accompagnare e supportare le persone in difficoltà. Questa iniziativa, che può sembrare poco conosciuta, svolge un ruolo importantissimo nel tessuto sociale, raggiungendo anche individui che normalmente eviterebbero di interagire con i servizi sanitari. L’indagine di AstraRicerche segnala che solo il 43,5% della popolazione ha idea dell’esistenza di questi punti di accesso, mentre il restante 56,5% ne è totalmente ignaro.

Daniele Calzavara, coordinatore di un importante check point a Milano, sottolinea come questi luoghi rappresentino un’alternativa ai servizi sanitari pubblici, creando relazioni orizzontali tra specialisti e utenti. Ne deriva un ambiente dove si può mettere in discussione il concetto di malattia e prevenzione, affrontando anche l’aspetto del benessere emotivo. Qui, l’attenzione non è concentrata solo sul virus, ma si estende a una visione più globale della salute sessuale e relazionale.

Filippo Leserri, presidente di Plus Roma, ribadisce l’importanza di una comunicazione chiara e diretta nel checkpoint, enfatizzando la necessità di affrontare i rischi di salute sessuale in modo aperto, affinché le persone possano vivere sia la loro sessualità che la loro vita quotidiana senza timori. Tuttavia, nonostante il valore che rivestono, c’è una richiesta sempre più forte per garantire loro riconoscimento ufficiale e supporto dalle istituzioni, in modo che possano proseguire la loro missione di informazione e supporto in modo indipendente e solidale.

La battaglia contro lo stigma e il potere della conoscenza

Al di là della mancanza di informazioni e della sottovalutazione del rischio, è necessario affrontare anche l’aspetto dello stigma che circonda ancora oggi le persone che vivono con Hiv. Andrea Antinori, esperto del settore, segnala come l’associazione tra la carica virale e la possibilità di trasmettere il virus non sia ancora compresa dalla maggioranza dei cittadini. Solo il 22,9% della popolazione conosce il concetto di U=U , che stabilisce che le persone con Hiv non trasmissibile non possono contagiare gli altri.

Questo tipo di stigmatizzazione incide profondamente sulla qualità della vita di chi convive con l’Hiv, portando isolamenti e difficoltà nella relazione con il contesto sociale. È necessaria, quindi, una lotta attiva per diffondere una corretta informazione scientifica, in modo da abbattere i muri dell’ignoranza e migliorare la consapevolezza collettiva. La divulgazione, infatti, è fondamentale per garantire adesione ai trattamenti e un abbassamento del rischio di trasmissione.

Qualità della vita e dimensioni psicologiche del benessere

Il concetto di qualità della vita per chi vive con l’Hiv è di fondamentale importanza e merita una riflessione particolare. Anna Maria Cattelan, direttrice di un’unità operativa di malattie infettive, propone un approccio multidisciplinare che unisca le varie professionalità mediche e sociali per trattare l’Hiv in modo completo. È necessario attuare strategie di supporto alla salute emotiva oltre a quelle fisiche, poiché la salute mentale e il benessere psicologico sono elementi chiave per garantire un’esistenza serena.

Questa visione integrata dei servizi sanitari ha lo scopo di esplorare aspetti che vanno oltre il virus, come quelli relazionali e comunitari. Perseguire tali obiettivi permette di restituire dignità e diritti a ogni individuo. È importante che ci si muova da un’ottica punitiva o stigmatizzante verso strade di accettazione e ascolto. Ciò contribuisce a migliorare non solo il benessere delle singole persone, ma anche a creare una società più coesa e inclusiva, capace di accogliere la diversità come valore aggiunto.

La questione Hiv, quindi, si intreccia con le dinamiche sociopolitiche contemporanee. È tempo di rimettere l’argomento al centro della narrazione pubblica, impegnandosi per riportare alla luce verità scientifiche fondamentali e centrare il discorso su una prevenzione efficace che combatta l’epidemia.