Ricerca, oncologi e cardiologi: Italia al 18° posto in Ue ma eccelle nei trial clinici

L’Italia, pur occupando il diciottesimo posto in Europa per investimenti in ricerca e sviluppo, si distingue per la qualità delle sue ricerche e il numero di studi clinici autorizzati.

L’argomento della ricerca e sviluppo in Italia è fondamentale per capire lo stato della scienza e della medicina nel nostro paese. Con una posizione non proprio da prima della classe in Europa, il nostro paese continua a far sentire la sua presenza nel panorama scientifico internazionale. Nonostante ci siano molte sfide da affrontare, l’Italia si distingue per la qualità delle sue ricerche e il numero di studi clinici realizzati. In questo articolo, esploreremo il contesto attuale della ricerca in Italia, i progressi fatti e le difficoltà che devono ancora essere superate.

L’Italia si colloca al diciottesimo posto in Europa per investimenti in ricerca e sviluppo, arrivando solo all’1,33% in rapporto al prodotto interno lordo , benché l’obiettivo fissato dall’Unione Europea per questa spesa sia del 3%. Questi dati, seppur non incoraggianti, non cancellano il fatto che il nostro paese è tra i leader europei quando si tratta di produzione scientifica. Nel 2022, l’Italia ha autorizzato ben 663 studi clinici, risultando responsabile del 31% dei 2.169 studi autorizzati in tutta Europa. Questo dato dimostra chiaramente che, nonostante le risorse limitate, l’Italia rimane un attore centrale nella ricerca clinica del vecchio continente. Tuttavia, la questione dell’accesso alle nuove terapie rappresenta ancora un problema significativo. Attualmente, ci vuole un tempo medio di circa 14 mesi per passare dall’autorizzazione europea alla rimborsabilità nel sistema sanitario nazionale. Anche se questo valore è in linea con la media europea, il confronto con la Germania, che riesce a far arrivare le nuove terapie ai suoi pazienti in solo 126 giorni, mette in luce un gap preoccupante.

I numeri della ricerca clinica in Italia

Il panorama della ricerca clinica italiana è florido e in crescita, evidenziando un forte coinvolgimento dei cittadini nelle sperimentazioni. Ogni anno, circa 40.000 italiani si trovano coinvolti in questi trial, la maggior parte dei quali trattano malattie devastanti come neoplasie e disturbi cardiaci. Questi malfunzionamenti rappresentano due terzi delle mortalità annue nel paese. Francesco Cognetti, presidente di Foce, ha rivelato che il 41% degli studi clinici riguarda fasi III, mentre i trial di fase I hanno visto un incremento del 14,5% rispetto al 2021. Queste evidenze suggeriscono che c’è una crescente propensione all’innovazione, con un investimento maggiore nello sviluppo di nuove molecole. La ricerca clinica non solo ha un impatto medico, ma anche economico; per ogni euro speso in studi clinici si generano benefici pari a quasi 3 euro per il Servizio Sanitario Nazionale . Purtroppo, nonostante questi risultati promettenti, l’Italia deve incrementare il suo budget destinato a questa area.

La spesa dell’Unione Europea: un confronto con l’Italia

Secondo le recenti analisi, la spesa dell’Unione Europea in ricerca e sviluppo nel 2022 ha raggiunto la cifra significativa di 352 miliardi di euro, praticamente il doppio rispetto al 2012. Tra i paesi più impegnati nel settore, il Belgio, la Svezia, l’Austria e la Germania si distinguono, investendo oltre il 3% del proprio Pil nella ricerca. Nel frattempo, l’Italia continua a rimanere indietro, non raggiungendo nemmeno il 1,5%. Nel 2021, le cifre indicate parlavano di un investimento dell’1,43%, sceso poi all’1,33% nel 2022. Con il presidente di Aifa, Robert Nisticò, che sottolinea come i tempi di approvazione per nuovi farmaci debbano essere affrettati, è palpabile la necessità di abbattere i muri burocratici che rallentano l’arrivo di terapie innovative sul mercato, in particolare per quanto riguarda il passaggio tra autorizzazione e inclusione nei Prontuari terapeutici regionali.

Innovazioni nelle terapie pediatriche: un successo da celebrare

Il trattamento e la cura dei tumori pediatrici si possono considerare uno dei successi più notevoli della medicina moderna grazie alla continua evoluzione e alle collaborazioni internazionali. In questo contesto, l’Italia ha un ruolo di primaria importanza. Le statistiche mostrano che la sopravvivenza per i bambini affetti da neoplasie è aumentata significativamente, passando dal 30% degli anni ’60 all’80% negli ultimi dieci anni. Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, sottolinea come la miglior stratificazione prognostica e l’introduzione delle cellule Car-T nella pratica clinica abbiano segnato una vera e propria rivoluzione. Queste cellule hanno mostrato un’efficacia rassicurante nel trattamento delle leucemie acute, con percentuali di remissione che oscillano tra l’80 e il 90%. È chiaro quindi che questi sviluppi rappresentano un passo fondamentale non solo per i pazienti, ma per tutta la ricerca nell’ambito delle malattie oncologiche.

L’importanza della ricerca contro le malattie infettive

L’attenzione alla ricerca nel campo delle malattie infettive ha visto risultati concreti negli ultimi decenni. Secondo Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali, i decessi per malattie infettive sono diminuiti del 31,6% in Italia tra il 1990 e il 2019. Tuttavia, l’impatto della pandemia covid-19 ha significativamente amplificato il numero di decessi per malattie infettive, arrivando a oltre 47 morti per 100.000 abitanti. Ma ogni nube ha il suo lato positivo e il periodo pandemico ha anche fatto da catalizzatore per il progresso scientifico, facilitando lo sviluppo della tecnologia dei vaccini a mRNA. Questa nuova tecnologia, che fornisce istruzioni alle cellule per produrre l’antigene, ha aperto opportunità straordinarie per il trattamento di malattie, comprese le terapie oncologiche.

Performance scientifiche e sfide da affrontare

Esaminando le performance scientifiche degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico italiani, emerge un quadro contrastante: se alcuni hanno dimostrato eccellenza accademica, la metà di questi istituti presenta valori di Impact Factor e H-index considerevolmente bassi. Anche il reclutamento di pazienti rimane una sfida, dato che un terzo degli istituti riporta meno di 100 pazienti all’anno, mentre il 20% non recluta affatto. Tali risultati sollecitano una seria rivalutazione del sostegno dato a questi Istituti, potenzialmente accompagnato da un potenziamento di risorse per quelli più meritevoli e produttivi. È fondamentale che l’Italia affronti e risolva queste problematiche al fine di non perdere il passo in un campo così vitale come quello della ricerca clinica.