Si sente sempre più parlare del training autogeno e dei suoi effetti positivi sulla mente e sul corpo. Tuttavia, non tutto è oro ciò che luccica. Infatti, ci sono situazioni in cui questa tecnica di rilassamento non è raccomandabile. Scopriremo insieme quali sono le controindicazioni e i soggetti per i quali il training autogeno può risultare controproducente.
Il training autogeno, ideato dal psichiatra tedesco Johannes Heinrich Schultz, è una metodologia di rilassamento che si pone come obiettivo il raggiungimento di uno stato di calma profonda. Questa tecnica si sviluppa attraverso esercizi quotidiani che, idealmente, dovrebbero durare circa quindici minuti. Gli esercizi si possono svolgere in diverse fasi della giornata, a partire dal mattino fino alla sera, e sono utili per chiunque desideri migliorare la propria gestione dello stress e dell’ansia.
Attraverso la pratica costante, il training autogeno favorisce la connessione mente-corpo, istruendo il praticante a percorrere una sorta di viaggio interiore verso la serenità. Sensazioni di pesantezza, calore e rilassamento vengono induzati mentalmente, portando a una distensione muscolare significativa. Ma… attenzione! Per alcune persone, questo approccio potrebbe rivelarsi meno vantaggioso e addirittura dannoso.
Nonostante i benefici generali del training autogeno, ci sono categorie di persone per le quali questa tecnica non è indicata. In particolare, chi soffre di bradicardia, che è una condizione caratterizzata da un battito cardiaco lento – solitamente inferiore a sessanta pulsazioni al minuto – non dovrebbe avvicinarsi a questa pratica. Infatti, il rilassamento e l’abbassamento della tensione muscolare a cui il training porta potrebbe aggravare una situazione già delicata, influendo negativamente sulla frequenza respiratoria e cardiaca.
In aggiunta ai problemi legati al battito cardiaco, anche chi presenta disturbi psichiatrici dissociativi o di natura psicotica deve stare lontano dal training autogeno. Questa tecnica potrebbe infatti innescare o intensificare sensazioni di disagio, amplificando le problematiche esistenti. È fondamentale, quindi, che chi rientra in queste categorie si consulti prima con un professionista della salute mentale, per evitare effetti collaterali indesiderati.
Ecco la questione centrale: quando è sconsigliato praticare il training autogeno? Prima di tutto, è importante capire che questa tecnica dovrebbe essere vista come un supporto e non come un’alternativa a trattamenti medici o psicoterapici già in corso. Non sostituisce assolutamente né le sedute di terapia, né le cure farmacologiche per l’ansia o altri disturbi. Se si decide di praticare il training da soli, ma non avverte miglioramenti, sarebbe opportuno parlarne con il proprio medico di fiducia.
Inoltre, un importante campanello d’allarme è rappresentato dalle sensazioni provate dopo una sessione di training. Se si avverte ansia o inquietudine, è consigliabile interrompere le pratiche e contattare un professionista esperto in training autogeno o il proprio medico curante. La salute mentale è un aspetto da non sottovalutare e, per chi ha subìto traumi o patologie particolari, il rischio è reale.
Il training autogeno può certamente essere una chiave per la serenità, ma come in tutte le cose, è fondamentale sapere quando e come utilizzarla, per preservare il proprio benessere psicofisico.
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